Se, quando senti dire vita eterna
ti abbracci, come un naufrago a un tronco,
forse non hai capito.
Non futura rivalsa è in impossibili
paradisi o inferni. Non è
mummificarsi.
Vita eterna
è sapere respiro del mattino
quando ancora nel bosco non prorompe
vento di sole–
aria di fragole tra felci curve
aria densa di funghi, umida aria
di muschio abbarbicato nel granito–
smeraldo di acque
e vigile svolare di gabbiani
riguardare attraverso lucenti
occhi bambini,
esplorare umilmente nel segreto
di un atomo invisibile,
decifrare a una roccia la sua storia,
intendere il vagare delle stelle
non ammuffire in chiuse nostalgie:
rianimando la vita se si esangua
disseminare gli attimi perfetti
esperti a contrastare ogni sclerosi
scegliere il fronte:
è la rivoluzione
contro il Dio delle zecche e i suoi accoliti
lo spasimo del tendersi
a un incontro pieno.
Sapendo il mondo un immane crogiolo
in cui i corpi in altri si dissolvono
le forme in altre forme,
è consentire
a masticare e a essere masticati
a bruciare e a bruciarsi
essere la corrente e alimentarla
cercando dirigersi
(né se strascicati sbattendo da evento
in evento si evade
o tentando stagnare al margine)
e quando il cuore cessa di pulsare,
senza frapporre marmi piombi legni
lasciare le radici ti risucchino
semplicemente –
come le hai succhiate.
Danilo Dolci, Il Dio delle zecche.
leggevo il mio ultimo commento ad un tuo post: ti voglio bene, Ipazia. Tanto.
ReplyDeleteecco.
love, mod
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ReplyDeleteTi pensavo, oggi, anzi volevo chiamarti.
ReplyDeleteTi abbraccio
I.