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Tuesday, 7 December 2010

La storia con i se

Chiedersi cosa sarebbe successo "se" i nazionalsocialisti avessero vinto potrebbe non essere un esercizio così ozioso: potrebbe per esempio portare a chiedersi cosa sarebbe cambiato veramente, e quindi quali siano le effettive discriminanti storiche - bada, non sto dicendo che tutto sarebbe stato uguale, ma che il tempo presente non andrebbe reso giusto semplicemente in nome della vittoria sul "male assoluto", esentato dal rispondere su cosa sia stato diverso per quella vittoria (esentando con lo stesso gesto il "male assoluto" da ulteriori indagini sulla sua natura, che lo renderebbero forse un po' più male e un po' meno assoluto). In ogni caso, fa sempre bene ricordare che la vittoria è pur sempre un fatto aleatorio e non conferisce alcuna patente di bontà, giustizia, verità, che non esiste alcun "tribunale della storia" e che, direbbe il nostro, lo stupore perché certe cose succedono "ancora" non è filosofico.

Tuttavia, hai ragione: Benjamin non sta parlando di un "se" qualunque, sta parlando di un cumulo di rovine da riparare e di un "avrebbe potuto" che dev'essere realizzato, portato a compimento, e sta dicendo che ci sono "Zuversicht, Mut, Humor, List, Unentwegtheit" che operano a ritroso e mettono in discussione ogni vittoria che sia toccata a chi è al potere (IV th).
Sullo statuto di quel "se" ci dice molto, credo, una frase che conclude proprio la XII tesi nella traduzione francese: "la nostra generazione ha pagato per saperlo, poiché la sola immagine che resterà di essa è quella di una generazione vinta. Questo sarà il suo legato a coloro che verranno". Innanzitutto, allora, la sconfitta che non era ineluttabile è quella, molto concreta, della sua generazione.

In secondo luogo, Benjamin mi sembra molto chiaro su un altro punto: non sta parlando di un ideale da raggiungere, anzi si sta opponendo con tutte le forze proprio a questo. Sta parlando di presenza, shekinah, se ci piace utilizzare il linguaggio cabalistico, e azzardando un po’ potrei dire che sta parlando del “noi” che compariva in un vecchio striscione anarchico: “tutte le guerre contro di noi, noi contro tutte le guerre”.

Io credo che la chiave stia proprio in quell' "avrebbe potuto", non nel senso che un vincitore avrebbe potuto perdere e viceversa, ma in quello che avrebbe potuto essere, cioè in tutto quanto di vita, di gioia, di parole, avrebbero potuto essere e sono state schiacciate dai vincitori, e, da questo punto di vista, quello che conta non è chi sia il vincitore, ma il fatto stesso che ci sia: che ci sia un vincitore, ed un vinto, e il fantasma inquieto dell'essere che avrebbe potuto venire alla luce attraverso la complicità degli uomini tra loro.

Le voci degli ammutoliti

L'immagine di felicità che coltiviamo in noi è tutta intrisa del colore del tempo a cui ci ha assegnato una volta per tutte il corso della nostra propria esistenza. Una felicità che potrebbe risvegliare in noi l'invidia si dà solo nell'aria che abbiamo respirato, con uomini, a cui avremmo potuto parlare, con donne, che avrebbero potuto farci dono di sé. In altre parole, nell'idea di felicità risuona ineliminabile l'idea di redenzione. Ed è lo stesso per l'idea che la storia ha del passato. Il passato reca in sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione. non soffia forse anche in noi un soffio dell'aria che spirava attorno a quelli prima di noi? Non c'è, nelle voci a cui prestiamo ascolto, un'eco di voci ora ammutolite? Le donne che corteggiamo non hanno delle sorelle da loro non più conosciute? Se è così, allora esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto. Questo diritto non si può eludere a buon mercato. Il materialista storico ne sa qualcosa.

Benjamin, II tesi sul concetto di storia, trad. Solmi

Tuesday, 7 April 2009

leggenda sull'origine del libro Tao te ching

"Ma quell'uomo, in un suo lieto animo
chiese ancora: 'e che cosa ne ha cavato?'
E il ragazzo:
'che cede all'acqua docile
a lungo andare, la pietra tenace.
Quel ch'è duro la perde, capisci?"
(B. Brecht, leggenda sull'origine del libro Tao te ching)

"Le dimostrazioni di benevolenza del mondo avvengono nei momenti più duri dell'esistenza; alla nascita, al momento del primo passo dentro la vita, e al momento dell'ultimo, che porta fuori dalla vita.
Si tratta del programma minimo dell'umanità.
Si ritrova nella leggenda di Lao Tse, e qui si presenta nella forma di questa proposizione:
quel ch'è duro la perde, capisci?

Il poemetto è stato scritto in un'epoca in cui una simile asserzione colpisce l'orecchio come una promessa che non è da meno di ogni promessa messianica. Per il lettore odierno contiene però non solo una promessa, ma anche un insegnamento:
che cede all'acqua docile
a lungo andare, la pietra tenace.

Questi versi insegnano che è importante non perdere di vista l'elemento incostante e mutevole delle cose e stare dalla parte di ciò che è poco appariscente e prosaico, ma anche inesauribile, come l'acqua. Il dialettico materialista penserà in proposito alla questione degli oppressi (si tratta di una questione poco appariscente per coloro che dominano, di una questione prosaica per gli oppressi, e, per quel che concerne le sue conseguenze, della più inesauribile di tutte).
In terzo luogo, accanto alla promessa e accanto alla teoria c'è la morale che risulta dal poemetto: chi vuole che ciò ch'è duro soccomba non deve lasciarsi sfuggire nessuna occasione per essere gentile".
Walter Benjamin

Tuesday, 24 March 2009

altri cieli

Caro Francesco
spesso, in momenti come questo, ho un ricordo di te, perché è una bella notte, colma di vento di marzo e di pioggia di primavera.
"perché è una bella notte
e questo cielo non ha altro dove".
Questi momenti ti appartengono, e con te appartengono ad altri, perché, come sui giorni del calendario si affastellano sassolini di colore diverso, così in questi momenti si affastellano volti, voci, pensieri.
Il pensiero di stasera è che, in un senso molto importante, non è vero che questo cielo non ha altro dove.
Solo il cielo del paradiso, dove tutti i sogni sono realizzati, e l'incompiuto e il disperso non hanno più luogo: solo quel cielo non ha altro dove. Ma in notti come queste, nelle ore di un simile tempo, questo cielo mostra altri cieli, che sono presenti nell'aria che respiriamo e in cui vibra l'idea di felicità. Il condominio che ho di fronte, in questi momenti è ben chiaro, potrebbe essere un bosco, e da questo bosco traspira un silenzio che è possibile ascoltare, soltanto velato dal rumore del traffico.
Così come ogni attimo di felicità mostra che dietro, sotto, dentro tutto il nostro essere per lo scambio e stare come merci uno di fronte all'altro, sotto tutto questo, in un altro luogo da quello della sottomissione e della lotta, ma nello stesso luogo, c'è il lavorare a se stessi, l'imparare dagli altri, l'esprimersi, l'essere con gli altri,
Tutto questo, come il grande viale di tigli che talvolta attraverso, è ben visibile a un'anima attenta, ma non solo ad essa. Spinoza diceva che gli uomini ben sanno di essere uguali, e che per sottometterli è necessario un artificio sempre rinnovato. L'uguaglianza, la tensione ad essa, la coscienza della sua naturalezza e, a tratti, la sua realtà, scorrono costantemente come ciò che dovrebbe essere dietro, sotto, dentro la sottomissione, ma vi scorre come altro cielo che con quello della sottomissione non ha nulla a che fare, che appartiene alla società senza classi e "non può essere realizzato con un programma minore".
A questo cielo noi, che abbiamo buona vista, apparteniamo.

Wednesday, 4 February 2009

Sul concetto di storia (in onore di Walter Benjamin)

Contro l'idea che la storia non si faccia con i se sta l'idea che non c'è un unico destino, che la storia che ci si presenta come destino e l'ordine che ci si presenta come inevitabile e migliore di tutti quelli che lo hanno preceduto non sono né l'unica storia possibile né il migliore e l'inevitabile fra gli ordini.

Al contrario, quest'ordine ne ha sostituito un altro, che era anch'esso l'ordine del vincitore e quindi, in ciò che è essenziale, non diverso dal più recente. Entrambi questi ordini, e quelli che li hanno preceduti, si sono stabiliti e si reggono sull'esclusione di tutte le altre possibilità – le possibilità che avrebbero potuto esprimere i vinti, ma soprattutto quelli che erano fuori dalla partita per il potere, gli oppressi. Quello che bisogna distruggere è il caleidoscopio che produce tutte queste illusioni di ordine, inevitabili e intercambiabili.

L'illusione per eccellenza, allora, è la storia come un continuum riempito di nessi causali, che si presenta come un tutto omogeneo e determinato dalla successione razionale da un fatto all'altro, tale che il presente sia la conseguenza necessaria, inevitabile e giusta di questa successione.

Questa idea di successione inevitabile e giusta si sposa con l'illusione del progresso: ciò che è necessario è razionale quindi giusto, l'ultima configurazione del caleidoscopio è sempre la migliore.

Contro queste idee di destino, di ordine, di progresso, sta l'idea di felicità, che è l'idea di ciò che avrebbe potuto essere, “Una felicità che potrebbe risvegliare in noi l'invidia si dà solo nell'aria che abbiamo respirato, con uomini, a cui avremmo potuto parlare, con donne, che avrebbero potuto farci dono di sé”.

Per questo, tutto ciò che avrebbe potuto essere è compito, e nell'idea di felicità vibra indissolubilmente quella di redenzione, dell'angelo della storia che può finalmente fermarsi a ricomporre l'infranto.

Questo è ciò a cui Benjamin contrappone il giorno del giudizio messianico, la citabilità all'ordine del giorno, che riassume in sé il tutto non come continuum ma come istante, e che giudica da quell'istante ogni passato denunciando che non era l'unico possibile e quindi può e deve essere giudicato.

Da ogni istante si può vedere una diversa possibilità del passato: è questa la debole forza messianica di ogni presente, poter rivendicare le diverse possibilità di ciascun passato, mostrare che non c'era un'unica possibilità, e non è stato né razionale né giusto che ci sia stato un vincitore, e proprio quello, e che l'essere vincitori non rende giusti.

Ogni presente ha il compito di mostrare le possibilità del passato che sono divenute nuovamente realizzabili. Per questo l'immediata intensità messianica del singolo uomo “passa attraverso l'infelicità” (FTP). La solidarietà con i morti che chiama in causa la classe vendicatrice è quella che impone di portare a compimento l'incompiuto e il disperso che è nelle loro vite.

(Pericolo: possibilità di cadere in mano ai vincitori, ma anche apertura della possibilità che non ci siano più dei vincitori.)