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Saturday, 20 April 2024

Critique of violence, critique of the state

Walter Benjamin's Critique of violence is a seminal text that in just a few steps dismantles the very idea that any form of legitimate violence can exist, or that means can be separated from ends so that a just end can make a wrong mean just.
For that alone, this would be a great text, and the theoretical foundation of consistent and absolute nonviolence.
Yet there's even more in it: as David Graeber pointed out, Benjamin’s ruling out of legitimate violence hits the very notion of modern State, as “a human community that (successfully) claims the monopoly of the legitimate use of physical force within a given territory” (as per the definition popularized by Max Weber in “Politics as a Vocation” (1918), since if there’s no such a thing as a legitimate use of violence, because of the contradiction that forbids, then there’s no such a thing as a legitimate, democratic monopoly of this use. In David’s words:

“The contradiction is not simply one of language. It reflects something deeper. For the last two hundred years, democrats have been trying to graft ideals of popular self-governance onto the coercive apparatus of the state. In the end, the project is simply unworkable. States cannot, by their nature, ever truly be democratized. They are, after all, basically ways of organizing violence. (...) the coercive nature of the state ensures that democratic constitutions are founded on a fundamental contradiction. Walter Benjamin (1978) summed it up nicely by pointing out that any legal order that claims a monopoly of the use of violence has to be founded by some power other than itself, which inevitably means by acts that were illegal according to whatever system of law came before". https://theanarchistlibrary.org/library/david-graeber-there-never-was-a-west#toc9

In days like theses, when the appeal to violence and the make-believe of people identified with nations, and nations identified with States are stronger than ever, it is particularly important to revert to this text, and discuss, with Walter Benjamin and with David Graeber, what the possibilities, the consequences and most important of all, the logic of violence are.

Friday, 5 May 2023

Esorcizzando David Graeber

Caro Professore,
si racconta che un vecchio saggio, probabilmente ebreo, disse una volta a un uomo di potere (probabilmente professore?):

    "le mie parole sono troppo difficili per te, per questo ti sembrano così semplici".

Le reazioni ai lavori di David Graeber mi hanno spesso fatto pensare a questo aneddoto: è facile scambiare il suo linguaggio studiatamente accessibile per semplicità, le sue provocazioni per boutades prive di solide fondamenta, o addirittura, in casi estremi, la sua ironia per approvazione della cosa su cui ironizza. La cosa che mi è capitato più spesso di vedere, però, è la politica dello "straw man": fare di Graeber un fantoccio, l"antropologo anarchico ", e poi attaccare le idee sballate che si attribuiscono al fantoccio, invece di far la fatica di leggere uno dei suoi volumi da 6 o 700 pagine e contrastare nel merito le sue argomentazioni.

La storia del saggio ebreo mi è tornata in mente alla lezione inaugurale del tuo seminario su L'alba di tutto (dove prometti un corpo a corpo fra visione anarchica e comunista, ma un corpo a corpo rigorosamente senza contraddittorio, visto che il dibattito ci sarà, se ci sarà, forse soltanto nell'ultimo incontro).


E' facile, per esempio, scambiare per un divertente aneddoto su "gli Andini che si fanno le canne" quella che in effetti è una descrizione delle forme di gerarchia che si producono in contesti rituali, dove l'uso codificato di stupefacenti rappresenta l'accesso privilegiato a conoscenze esoteriche (per chi volesse prendersi la briga di leggere davvero il libro: L'alba di tutto, Cap. 10, "Chavín de Huántar: un «impero» costruito sulle immagini?", pp. 386 ss. dell'ed. inglese). E' facile, come conseguenza, ignorare il perché di questa descrizione e il suo valore nel contesto dell'esame delle tre forme elementari di dominazione che Graeber e Wengrow realizzano nel capitolo 10, e quindi non capire su cosa diavolo si fondi la tesi per cui lo Stato Moderno sarebbe soltanto una costellazione molto particolare di forme di dominazione in sé molto diverse (si veda Cap. 10, "Dove, armati di nuove conoscenze, riconsideriamo alcune premesse di base dell’evoluzione sociale"). Naturalmente, si può mettere in discussione questa interpretazione, così come si può sostenere che lo Stato non è una forma politica contingente bensì una Idea Eterna che assume forme contingenti: ma bisogna farlo dimostrando che sono possibili altre interpretazioni delle evidenze fornite, o che "Stato" va definito diversamente, o ancora portando evidenze a contrario. Certamente non limitandosi all'assunto che gli autori, siccome sono anarchici (Wengrow, che io sappia, non lo è), sono a priori contro lo Stato, e hanno torto a priori.


A proposito di evidenze: no, la scienza non si fa, come hai detto tu, con i concetti. La scienza si fa con i dati dell'esperienza (le evidenze, appunto), formulando concetti e teorie che siano capaci di renderne conto, di farcene vedere nuovi aspetti, e di spiegarli; e questo è esattamente ciò che fanno i due autori: proporre un concetto di natura umana basato sulle evidenze disponibili. Sapendo benissimo che anche questo concetto basato sulle evidenze è una semplificazione ("la teoria sociale implica sempre, necessariamente, un po' di semplificazione", dicono nel cap. 1, quel che bisogna fare è non dimenticarsene e non fossilizzarsi su una semplificazione sola).

Tu accusi Graeber e Wengrow di criticare chi fa affermazioni generali sull'umanità, proiettando sulla preistoria il proprio concetto di natura umana, e poi fare esattamente ciò che criticano. Ma qui c'è un equivoco: la critica che i due rivolgono alle narrazioni convenzionali della storia dell'umanità non riguarda il fatto in sé di proporre simili narrazioni in sé (non possiamo evitare di raccontarci chi siamo e da dove veniamo): riguarda il fatto che le specifiche narrazioni in cui siamo immersi "sono semplicemente false" ("simply aren't true", cap.1,1 ), e soprattutto si basano su assunti inconsapevoli o dati per scontati che non solo le rendono dei miti, ma le rendono dei miti pericolosi e invalidanti. Come i due scrivono in chiusura del libro:
"Ora capiamo più chiaramente cosa succede, per esempio, quando uno studio, rigoroso sotto ogni altro aspetto, parte dall’ipotesi non verificata che sia esistita una forma «originale» di società umana, che la sua natura fosse essenzialmente buona o cattiva, che ci sia stato un tempo prima della disuguaglianza e della consapevolezza politica, che si sia verificato un evento capace di cambiare tutto questo, che la «civiltà» e la «complessità» emergano a spese delle libertà umane, che la democrazia partecipativa sia naturale nei piccoli gruppi, ma che non possa trasformarsi in nulla di simile a una città o a uno Stato nazionale.
Ora sappiamo di essere in presenza di miti".

    Tu accusi Graeber e Wengrow di proiettare sulla preistoria dell'umanità "la loro idea anarchica che l'umanità sia naturalmente per l'uguaglianza, spontaneamente libertaria, e anti-gerarchica".

Io ti accuso di proiettare sulla preistoria e sulla storia dell'umanità la tua idea che siano "necessari corpi e soggetti a spianare la via" dell'emancipazione dal capitalismo (suppongo che tu voglia dire "corpi politici e soggetti politici", e che questo significhi partiti, o un Partito, guidati da una élite che per qualche ragione, a differenza della comune umanità incapace di emanciparsi da sola, è stranamente capace sia di emancipare se stessa che gli altri).

I due autori fanno almeno qualche sforzo, nel corso di 700 e passa pagine e 12 capitoli, di portare un certo numero di esempi (evidenze, direbbero gli inglesi) del fatto che l'unico dato comune a tutta l'umanità è la molteplicità di forme diverse in cui storicamente abbiamo organizzato le nostre collettività ("a carnival parade of political forms"), una molteplicità che testimonia della nostra capacità di creare e ricreare le forme sociali, di stringere patti e fare promesse, e di disobbedire e così fondare, collettivamente, nuovi ordini (ti ricordi babbo Marx, "se una disobbedienza ha dato origine alla storia dell'umanità, l'obbedienza potrebbe esserne la fine"?).

Tu fai solo lo sforzo di riproporre acriticamente un'idea di Natura Umana partorita dalla Mente Pura di un filosofo, e discetti per ore, sulla base del nulla, sul fatto che l'umanità sia "naturalmente" buona o cattiva, in realtà semplicemente palleggiando tra due concetti di natura umana, quella di Rousseau e quella di Hobbes (Engels non è che una variazione sul tema), che sono fondamentalmente lo stesso: un dichiarato esperimento mentale che riflette in modo palese la socializzazione primaria di un cittadino della Ginevra puritana, con la sua ossessione per l'ascetismo e la semplicità di costumi "naturali", e una proiezione sulla natura umana della realtà sociale dell'individualismo possessivo puritano (vedi MacPherson).

 
A partire da queste premesse tutte interne alla realtà del capitalismo, certo, non c'è via d'uscita se non il paradosso di un Legislatore, un Principe, un Partito fatto di gente che per qualche strana ragione è già diventata libera come gli uomini diventano solo grazie ai "buoni ordini", e così può fare il miracolo di costituire i "buoni ordini" per liberare tutti (leggi: gli altri) (Contratto Sociale, II, 7). Ma, francamente, questo non è neppure un paradosso, ma una semplice assurdità. A partire da queste premesse, da questo concetto di natura umana (che non è a priori e universale, ma radicato nel mondo capitalista), semplicemente non c'è via d'uscita dal capitalismo, se non quella di un capitalismo di stato come quello che abbiamo visto in Unione Sovietica e in Cina: no, grazie, abbiamo già dato.

Di nuovo: "la nuova scienza dell'umanità" proposta da Graeber e Wengrow può essere discussa, certo. Si può discutere se, in assoluto, una simile scienza sia anche soltanto possibile, se si possa dire qualcosa di vero in generale sugli esseri umani, e che cosa comporti questa possibilità (o questa impossibilità): molto del dibattito antropologico suscitato dalle opere precedenti di Graeber verteva su questo tema, per esempio. Oppure si può discutere se le prove che i due portano a sostegno delle loro tesi siano sufficienti o insufficienti a dimostrarle. O se non ci sia contraddizione fra il sostenere che gli esseri umani hanno sempre goduto di certe libertà al punto da darle per scontate e il sostenere che noi oggi le abbiamo perdute. Tutto questo si può e si deve fare, ma testo alla mano, e con un contraddittorio, non riproponendo ex cathedra e aprioristicamente un concetto trito e ritrito di natura umana che i due hanno ampiamente smantellato, o inventandosi un fantoccio anarchico per potergli sparare addosso alla rinfusa.

Se il tuo seminario avesse previsto un onesto spazio per un dibattito e un contraddittorio ti avrei fatto lì queste obiezioni, e forse sarebbe stato interessante discuterne. Dato che così non è, e allo stesso tempo la tua operazione rappresenta una discreta "summa" dei tentativi maldestri di esorcizzare Graeber, te le muovo qua, chissà che questo non si riveli uno spazio un po' più aperto per il confronto.

Thursday, 30 September 2021

Forget about a one-shot revolution

 
The misunderstanding is in believing  that either you have a one-shot revolution, revolving to a golden age of equality, or rather installing it through a well engineered new society (l'Ordine Nuovo, the New Order, was the title of the Communist Journal founded by Gramsci and Togliatti), or you have no way to escape capitalism (or whatever we call present-day oppression: managerial feudalism, as for David in Bullshit Jobs - https://theanarchistlibrary.org/library/david-graeber-bullshit-jobs#toc37  - did, or technofeudalism, as for Varoufakis - https://www.yanisvaroufakis.eu/2021/07/05/techno-feudalism-is-taking-over-project-syndicate-op-ed/ ).
Instead, I more than welcome David Graeber & David Wengrow realism in remembering us that revolution is a process, and we'll never be allowed to stop fighting oppression, even in our groups and inside ourselves, and, on the other side in showing us that not just another world, but many other worlds are possible, and how they exist and are being built right now (the ethnographic research both on egalitarian societies and on activism, revolts and revolutions was a very important part of David's work).
What's even more important, and was in my opinion David Graeber fundamental endeavour, is the fact of pointing out how, even if we can't (and shouldn't) count on a one-shot revolution engineered once for all by The Party, we can, and should, stop making capitalism, because "the hidden reality of human life is the fact that the world doesn’t just happen. It isn’t a natural fact, even though we tend to treat it as if it is—it exists because we all collectively produce it. We imagine things we’d like and then we bring them into being. (...) If we woke up one morning and all collectively decided to produce something else, then we wouldn’t have capitalism anymore. This is the ultimate revolutionary question: what are the conditions that would have to exist to enable us to do this—to just wake up and imagine and produce something else?" (The Utopia of Rules, https://theanarchistlibrary.org/library/david-graeber-the-utopia-of-rules )