Cosa ne è stato della rivolta - di quella di cui parlava Camus, quella che afferma, contro ogni forma di oppressione, “se noi non siamo, io non sono”?
Di quello che un tempo cantava “le idee di rivolta non sono mai morte” sappiamo cosa ne è stato: fa lo sceneggiatore, o il regista, non ricordo bene, di una trasmissione chiamata “Amici”.
C’è la figura, in questo, di un legame sotterraneo tra le due cose: le idee di rivolta e la parodia dell’amicizia; anzi: l’amicizia come farsa.
La rivolta, o anche semplicemente il disgusto verso il mondo, si esprime nell’unica forma immaginabile, quella dell’ “ognuno per sé e Dio contro tutti” che sembra (o viene mostrata) costuituire l’unico orizzonte possibile. E’ quella che può essere in un mondo di stretti orizzonti e sempre più stretti confini.
Non c’è alcuna traccia del “se noi non siamo, io non sono” in questa rivolta: essa fa parte, come parodia, dello stesso spettacolo osceno che si rappresenta ogni giorno tra questi confini.
Lo stesso vale per l’amicizia: non c'è più nessun "noi", ed è per questo che del "noi" si può fare una parodia televisiva.
Una parodia atroce. Perché altre trasmissioni offrono un simulacro di vita che distrae, ma questa fa qualcosa d'altro e più sottilmente pericoloso: costruisce un mondo diverso, nel quale l'amicizia è la relazione che lega dieci piccoli indiani il cui scopo è che il prossimo a venir fatto fuori sia l'altro, ne "il grande fratello" o al massimo quello dell'altro gruppo, dell'altro "noi", qui in "Amici".
Questa non è più chiacchiera, è avvelenare il pozzo da cui gli umani attingono la capacità di riconoscersi l'un l'altro, di unirsi, e di mettere il proprio essere gli uni per gli altri davanti a tutti i caporali di questo mondo: la rivolta, insomma.
Aver affidato proprio a Paolo Pietrangeli la regia di questa cosa mi parla dell'ironia di cui sono spesso capaci i padroni. Che lui abbia accettato mi parla della sua capacità di fiutare il vento.
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