Oh the sisters of mercy, they are not departed or gone.
They were waiting for me when I thought that I just can't go on.
And they brought me their comfort and later they brought me this song.
Oh I hope you run into them, you who've been travelling so long.
Yes you who must leave everything that you cannot control.
It begins with your family, but soon it comes around to your soul.
Well I've been where you're hanging, I think I can see how you're pinned:
When you're not feeling holy, your loneliness says that you've sinned.
Well they lay down beside me, I made my confession to them.
They touched both my eyes and I touched the dew on their hem.
If your life is a leaf that the seasons tear off and condemn
they will bind you with love that is graceful and green as a stem.
When I left they were sleeping, I hope you run into them soon.
Don't turn on the lights, you can read their address by the moon.
And you won't make me jealous if I hear that they sweetened your night:
We weren't lovers like that and besides it would still be all right,
We weren't lovers like that and besides it would still be all right.
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Sisters of Mercy è una grande poesia pagana.
Parla di un amore leggero e senza possesso, le sorelle di misericordia che sono lì, ti aspettano quando ne hai bisogno e non se ne hanno a male se te ne vai via quando sono ancora addormentate.
Parla dell'ossessione di controllare, dire sì oppure no, dire il bene ed il male, e di giudicare e tagliar via tutto ciò che non può stare dentro questo controllo: cominci a tagliar via la tua famiglia, e presto la durezza e la solitudine ti arrivano al cuore, ti trovi appeso come un cristo in croce, e quando capisci di non essere un santo cadi sotto i colpi del tuo stesso giudizio: la tua solitudine, il bisogno di stabilire il bene e tagliar via il male ti suggerisce che hai peccato, che sei tu stesso dannato, non abbastanza buono da non dover essere anche tu strappato via come una foglia.
Parla di donne che sono tronco, radici, rami, e che possono sciogliere questa condanna e annodare alla vita.
E accenna anche, con le allusioni alla crocifissione e a (Maria) piena di grazia al fatto che questa maledizione e il bisogno di condannare nascono da una religione alienante che rifiuta il potere sacro, impuro e terrificante del sesso e della nascita che implica la morte (e che non a caso ha innanzitutto paura della donna, e la considera impura). Dice che l'assoluzione da questo peccato, dalla maledizione che è il giudicare, condannare, dire no, e che implica condannare se stessi e scordare sempre il perdono, la fine di questa maledizione viene dall'amore leggero e senza possesso delle Sisters of Mercy, che abitano presso la luna.
E dice, infine: non ricadere nel bisogno di controllarlo. Non è un amore che renda gelosi, non è quel genere di amore - e peraltro, andrebbe bene lo stesso.
Tuesday, 30 June 2009
Wednesday, 17 June 2009
L'Aquila e la shock economy
"Katrina era una tragedia ma, come scrisse Milton Friedman nel suo editoriale sul Wall Street Journal", era "anche un'opportunità". (...) "Nel giro di poche settimane, la costa americana del Golfo del messico divenne un laboratorio nazionale per lo stesso tipo di "governo gestito dagli appaltatori" che era stato introdotto in Iraq. (...). Come in Iraq, anche stavolta il governo svolse il ruolo di bancomat, adibito a depositi e prelievi. Le aziende ritiravano fondi attraverso enormi contratti, e poi ripagavano il governo non svolgendo bene il proprio lavoro, ma versando contributi alla campagna elettorale e/o fornendo leali truppe per le prossime elezioni" (...) "Tra le scuole, le case, gli ospedali, i trasporti e la carenza d'acqua pulita in molti quartieri, la sfera pubblica di New Orleans non stava subendo nuna ricostruzione ma una cancellazione, con il pretesto dell'uragano".
Naomi Klein, Shock economy, RCS 2007, pp. 468-474
Shock economy è un libro di Naomi Klein uscito nel 2007, che fornisce strumenti molto convincenti per leggere quanto sta accadendo a l'Aquila.
La tesi del libro è che esista un "capitalismo dei disastri" che utilizza le teorie sviluppate negli anni '70 sull'elettroshock come strumento per fare tabula rasa delle personalità "disturbate" e costruire su questa tabula rasa personalità "adattate". In analogia con l'elettroshock, il "capitalismo dei disastri" utilizza le situazioni di shock create con le torture o le guerre, come ad esempio in Cile o in Iraq, o determinate da disastri naturali come lo tsunami in Sri Lanka o l'uragano a New Orleans - o il terremoto a l'Aquila - e la tabula rasa (sia materiale che relativa alla incapacità di reazione della popolazione) che producono per realizzare zone franche in cui instaurare un affarismo di pura rapina.
La caratteristica di queste zone franche, o "zone rosse", sono la militarizzazione del territorio giustificato dall'emergenza, la gestione attraverso servizi privati remunerati con appalti pubblici, l'azzeramento fin dove possibile dei servizi, delle sicurezze e delle infrastruttture pubbliche, la totale sottrazione delle decisioni e anche della possibilità di agire dalle mani della popolazione locale, che è essa stessa sottoposta a un controllo militare giustificato con l'emergenza, trattata come vittima da "difendere" quando non come criminale (gli "sciacalli" di New Orleans) o come nemico (Iraq).
Naomi Klein, Shock economy, RCS 2007, pp. 468-474
Shock economy è un libro di Naomi Klein uscito nel 2007, che fornisce strumenti molto convincenti per leggere quanto sta accadendo a l'Aquila.
La tesi del libro è che esista un "capitalismo dei disastri" che utilizza le teorie sviluppate negli anni '70 sull'elettroshock come strumento per fare tabula rasa delle personalità "disturbate" e costruire su questa tabula rasa personalità "adattate". In analogia con l'elettroshock, il "capitalismo dei disastri" utilizza le situazioni di shock create con le torture o le guerre, come ad esempio in Cile o in Iraq, o determinate da disastri naturali come lo tsunami in Sri Lanka o l'uragano a New Orleans - o il terremoto a l'Aquila - e la tabula rasa (sia materiale che relativa alla incapacità di reazione della popolazione) che producono per realizzare zone franche in cui instaurare un affarismo di pura rapina.
La caratteristica di queste zone franche, o "zone rosse", sono la militarizzazione del territorio giustificato dall'emergenza, la gestione attraverso servizi privati remunerati con appalti pubblici, l'azzeramento fin dove possibile dei servizi, delle sicurezze e delle infrastruttture pubbliche, la totale sottrazione delle decisioni e anche della possibilità di agire dalle mani della popolazione locale, che è essa stessa sottoposta a un controllo militare giustificato con l'emergenza, trattata come vittima da "difendere" quando non come criminale (gli "sciacalli" di New Orleans) o come nemico (Iraq).
Sunday, 14 June 2009
Solitudine
Sorprendente, Rilke. "Essere capaci di solitudine", scrivevo più o meno un mese fa qui. Ma che la solitudine potesse essere qualcosa da ampliare "su vasto paese", e che questo fosse compito, non l'avevo proprio pensato né immaginato.
Compito. Mi piace quel che ne dice Rilke. Mi dà una ragione - un riconoscimento, diciamolo! - di come nella mia vita ho affrontato a testa bassa le cose, non riconoscendo come compagno nessuno che non volesse affrontarle come me, con altrettanta pertinacia.
Ma la solitudine non era compito: era conseguenza, faticosa e dolorosa, da accettare, perché non era possibile un programma minore. Qui è qualcosa di diverso: non esattamente compito, forse, ma difficile a cui tenersi, condizione da coltivare, dalla quale non si deve uscire, ma invece fare che la voglia di uscirne serva a renderla più ampia. Forse sorgente ('come la natura, in sé colma, a se stessa affaccendata (come una fontana)').
Non me lo aspettavo, e ci devo pensare.
Intanto, cos'è che Rilke chiama solitudine (Einsamkeit)? ricorda il "diventa ciò che sei", o l'essere "causa adeguata". "Tenta di essere se stessa" lo dicevamo a 15 anni, ed è banale e non lo è - no, Rilke rimanda a qualcos'altro, qui, che ha lo stesso nome e ci somiglia.
Rilke, lettere a un giovane poeta, Roma, 14 maggio 1904, trad. Leone Traverso, adelphi 1989, p.48, pp. 51-52.
http://www.rilke.de/briefe/140504.htm
http://www.astro-sophia.de/Seiten/PDF/rilke%20briefe.pdf
Compito. Mi piace quel che ne dice Rilke. Mi dà una ragione - un riconoscimento, diciamolo! - di come nella mia vita ho affrontato a testa bassa le cose, non riconoscendo come compagno nessuno che non volesse affrontarle come me, con altrettanta pertinacia.
Ma la solitudine non era compito: era conseguenza, faticosa e dolorosa, da accettare, perché non era possibile un programma minore. Qui è qualcosa di diverso: non esattamente compito, forse, ma difficile a cui tenersi, condizione da coltivare, dalla quale non si deve uscire, ma invece fare che la voglia di uscirne serva a renderla più ampia. Forse sorgente ('come la natura, in sé colma, a se stessa affaccendata (come una fontana)').
Non me lo aspettavo, e ci devo pensare.
Intanto, cos'è che Rilke chiama solitudine (Einsamkeit)? ricorda il "diventa ciò che sei", o l'essere "causa adeguata". "Tenta di essere se stessa" lo dicevamo a 15 anni, ed è banale e non lo è - no, Rilke rimanda a qualcos'altro, qui, che ha lo stesso nome e ci somiglia.
"E non dovete lasciarvi sviare nella vostra solitudine perché qualcosa dentro di voi desidera uscirne. Appunto questo desiderio, se l'userete in modo calmo e ponderato e come uno strumento, vi aiuterà ad ampliare la vostra solitudine su vasto paese. La gente (con l'aiuto di convenzioni) ha dissoluto tutto in facilità e della facilità nella più facile china; ma è chiaro che noi ci dobbiamo tenere al difficile; ogni cosa vivente ci si tiene, tutto nella natura cresce e si difende alla sua maniera ed è una cosa distinta per sua virtù dall'interno, tenta di essere se stessa ad ogni costo e contro ogni resistenza. Poco noi sappiamo, ma che ci dobbiamo tenere al difficile è una certezza che non ci abbandonerà; è bene essere soli perché la solitudine è difficile; che alcuna cosa sia difficile dev'essere una ragione di più per attuarla".
"Anche amare è bene: ché l'amore è difficile. Voler bene da uomo a uomo: questo è forse il più difficile compito che ci sia imposto, l'estremo, l'ultima prova e testimonianza, il lavoro, per cui ogni altro lavoro è solo preparazione."
"Chi consideri seriamente trova che - come per la morte, che è difficile - anche per il difficile amore ancora non è stato riconosciuto alcun chiarimento, alcuna soluzione, né cenno né via; e non si potrà ricercare, per questi compiti che noi portiamo velati e consegniamo oltre ad altri senz'aprirli, alcuna regola comune, che riposi su accordi generali. Ma nella stessa misura in cui noi cominciamo a tentare come singoli la vita, verranno incontro a noi, i singoli, queste grandi cose, via via più vicine. Le istanze, che il difficile lavoro dell'amore pone al nostro sviluppo, sono grandi oltre la vita, e noi non siamo, come principianti, ancora alla loro altezza. Ma se noi persistiamo e prendiamo su noi questo amore come peso e noviziato, invece di perderci a tutto il gioco facile e spensierato dietro cui gli uomini si sono nascosti in faccia alla più grave gravità della loro esistenza, forse sarà sensibile un piccolo progresso e un piccolo alleggerimento a quelli che verranno molto dopo di noi; e sarebbe molto.
Noi giungiamo appunto solo ora a considerare la relazione di una singola creatura umana con una seconda singola creatura senza pregiudizi e obiettivamente, e i nostri tentativi di vivere una simile relazione non hanno alcun modello avanti a sé."
Rilke, lettere a un giovane poeta, Roma, 14 maggio 1904, trad. Leone Traverso, adelphi 1989, p.48, pp. 51-52.
http://www.rilke.de/briefe/140504.htm
http://www.astro-sophia.de/Seiten/PDF/rilke%20briefe.pdf
Saturday, 13 June 2009
neutralità
essere neutri è una indubbia scelta
e anche rigorosa
ha un'etica importante, assomiglia
a un elastico cemento che non muore
ma non ti lascia vivere o finire
a un asfalto colloso e prepotente
sul quale tuttavia può gocciare
un sangue appiccicoso e casuale.
...
E' sorte di tutti, è indifferenza
della ginestra che cresce sulla lava
ma, in proporzioni minime annunciando
fine di un mondo, e non c'è stato il fungo
sparato sopra il murmure del sole
ma soltanto biologico innescarsi
della propensione a dismorire.
Francesco Piero Franchi, 1978
Sunday, 7 June 2009
la débacle
La débacle della sinistra si misura nelle piccole cose, automatiche e inconsapevoli, come l'articolo di repubblica che il 26 maggio racconta in cronaca locale della pubblica esecuzione, a Napoli, di un suonatore di fisarmonica.
Un atto di terrorismo da esecrare e ricordare annualmente, se si fosse trattato di un economista modenese. Visto che non era un economista modenese, ma un suonatore di fisarmonica, probabile abitante di roulotte, sicuramente non italiano, la sua morte e il dolore della sua compagna sono menzionati distrattamente. L'articolo racconta la sola cosa veramente importante: un ragazzo di 14 anni, rimasto ferito, avrebbe potuto morire "senza" una ragione.
Sappiamo tutti perfettamente, infatti, che i suonatori ambulanti, gli stranieri, e gli zingari soprattutto, muoiono sempre "con" una ragione.
E' questa, la débacle.
http://www.nazioneindiana.com/2009/05/29/cinque-minuti-di-napoli/
http://www.nazioneindiana.com/2009/06/17/qui-non-lo-lascio/
http://www.nazioneindiana.com/2009/06/17/banalita-del-male/
(e per fortuna che c'è nazione indiana!)
Un atto di terrorismo da esecrare e ricordare annualmente, se si fosse trattato di un economista modenese. Visto che non era un economista modenese, ma un suonatore di fisarmonica, probabile abitante di roulotte, sicuramente non italiano, la sua morte e il dolore della sua compagna sono menzionati distrattamente. L'articolo racconta la sola cosa veramente importante: un ragazzo di 14 anni, rimasto ferito, avrebbe potuto morire "senza" una ragione.
Sappiamo tutti perfettamente, infatti, che i suonatori ambulanti, gli stranieri, e gli zingari soprattutto, muoiono sempre "con" una ragione.
E' questa, la débacle.
http://www.nazioneindiana.com/2009/05/29/cinque-minuti-di-napoli/
http://www.nazioneindiana.com/2009/06/17/qui-non-lo-lascio/
http://www.nazioneindiana.com/2009/06/17/banalita-del-male/
(e per fortuna che c'è nazione indiana!)
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