"Prima
del colpo di Stato di Badoglio dell'estate 1943, e prima che i tedeschi
occupassero Roma e l'Italia settentrionale, Eichmann e i suoi uomini
non avevano mai potuto lavorare in questo paese. Tuttavia avevano potuto
vedere in che modo gli italiani *non* risolvevano nulla nelle zone
della Francia, della Grecia e della Jugoslavia da loro occupate: e
infatti gli ebrei perseguitati continuavano a rifugiarsi in queste zone,
dove potevano essere certi di trovare asilo, almeno temporaneo. A
livello molto più alti di quello di Eichmann, il sabotaggio italiano
della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie, soprattutto
perché Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi
fascisti (...) Il capo di Eichman, il Gruppenfuehrer Mueller, scrisse in
proposito una lunga lettera al ministero degli esteri del Reich,
illustrando questa situazione, ma il ministero non poté far molto perché
sempre urtava nella stessa ambigua resistenza, nelle stesse promesse
che poi non venivano mai mantenute. Il sabotaggi era tanto più
irritante, in quantoche era attuato pubblicamente, in maniera quasi
beffarda. Le promesse erano fatte da Mussolini in persona o da altissimi
gerarchi, e se poi i generali non le mantenevano, Mussolini porgeva le
scuse adducendo come spiegazione la loro "diversa formazione
intellettuale". Soltanto di rado i nazisti si sentivano opporre un netto
rifiuto, come quando il generale Roatta dichiarò che consegnare alle
autorità tedesche gli ebrei della zona jugoslava occupata dall'Italia
era "incompatibile con l'onore dell'esercito italiano".
Ancora peggio era quando gli italiani sembravano rispettare le promesse (....)"
Hannah Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, 2001, p. 183
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