Comunque, qui sta il progetto, e qui la discussione (su minimokarma, tanto per cambiare) :
<<Potere, pre-dominio e dominio: Dolci e Foucault
Il potere (nel senso di essere capace di, capacità di azione) in sé non è affatto negativo: la sua carica positiva -l’intuizione etica avverte - dipende dalla sua capacità di aprirs a comunicare. Sovente nelle più fonde intuizioni religiose, vero potere risulta l’amore. Il potere si distingue, purificandosi, dal dominio, abuso di potere. Marco scrive che Gesù dice ‘la potenza’ per nominare Dio.
D. Dolci, Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci 1997, p. 5.
http://minimokarma.blogsome.com/2010/02/20/dolci-e-foucault/Non è probabilmente esagerato dire che in questa distinzione tra potere e dominio è uno dei contributi più rilevanti della riflessione di Dolci. E’ una distinzione che è parte di una più ampia dicotomizzazione: da una parte ci sono il potere, la forza, l’amore, la comunicazione, la relazione maieutica, il germe, il nomos, dall’altra ci sono il dominio, la violenza, l’odio, la trasmissione, la relazione gerarchica, il virus, la legge. In ultima analisi, si tratta della opposizione tra la sanità e la malattia. Un mondo sano è quello nel quale si comunica in modo pieno, reciprocamente adattandosi, senza che nessuno schiacci l’altro, mentre è malato un mondo nel quale alcuni, come virus, prosperano in modo parassitario a spese degli altri, spezzando la circolarità della comunicazione. C’è, bene evidente, il rischio di una semplificazione, proprio negli anni in cui Dolci cerca di leggere la realtà ricorrendo alla teoria della complessità. E’ realmente possibile distinguere, nelle situazioni concrete, il potere dal dominio, la forza dalla violenza, l’amore dall’odio? Non è forse la realtà, proprio perché complessa, sempre intessuta dell’una e dell’altra cosa? Consideriamo la scuola. Per Dolci, essa è il luogo del dominio, della trasmissione, dei rapporti malati. Molta della riflessione critica sulla scuola gli dà ragione. Ma è davvero la scuola solo questo? Non è forse sempre anche altro? Non è anche il luogo nel quale è possibile, sia pure per accidens, una comunicazione aperta? La realtà, anche quella istituzionale, è molto più fluida di quanto Dolci non sembri supporre, oscilla dall’uno all’altro polo. La stessa natura porta segni tanto della relazione maieutica quanto della relazione virale, e non basta dire che la prima è sana e la seconda malata, perché ciò vuol dire introdurre una pretesa etica nella considerazione di ciò che evidentemente è al di là del bene e del male.
A livello teorico, tuttavia, la distinzione di potere e dominio, l’individuazione dei due poli, è preziosissima. Benché il linguaggio comune e gran parte della riflessione continuino ad usarla in senso negativo, per indicare la possibilità che alcuni hanno di fare certe cose ad altri, o di far fare certe cose ad altri, la parola potere indica in primo luogo il soddisfacimento dei bisogni primari dell’organismo. Mangiare è un atto di potere. Mangia chi ha la possibilità di farlo. Chi non può, perché ad esempio non ha il denaro per acquistare il cibo, è condannato a morire. Il potere è una facoltà al servizio della vita. Poiché l’uomo è un essere sociale, il potere ha una dimensione collettiva. Fatta eccezione per casi estremi, la possibilità del singolo di procurarsi il cibo è legata alla struttura della collettività di cui fa parte. Un italiano è in grado materialmente di mangiare perché vive in un paese economicamente avanzato, collettivamente in grado di nutrire i suoi cittadini, sia pure con disparità e contraddizioni.
L’uso del potere non è dunque negativo, né asociale. Ma Dolci parla di un suo abuso, il dominio. Nella situazione di dominio, il soddisfacimento di un mio bisogno avviene a spese dell’altro. Continuando con l’esempio dell’alimentazione, c’è dominio quando io mangio del cibo togliendolo al prossimo. A dire il vero, durante una carestia una un simile atto attinge una sua legittimità. Di fronte al problema della sopravvivenza le idee correnti sul bene e il male sono sospese. Se c’è un solo boccone per dieci affamati, quei dieci si ammazzeranno l’un l’altro per ottenerlo, e ciò in base alla stessa legge della sopravvivenza. In altri termini, anche in questo caso si tratta di potere, e non di dominio. C’è dominio quando la sopravvivenza è fuori questione. Se io sono sazio, e tuttavia impedisco ad altri di mangiare, o di mangiare in modo sufficiente, io sto esercitando un dominio. E’ evidente che una teoria del potere ha bisogno di una teoria dei bisogni. C’è potere quando c’è la soddisfazione dei bisogni vitali, c’è dominio quando, per soddisfare i propri bisogni non vitali, si ledono i bisogni vitali altrui.
La distinzione concettuale tra potere e dominio si trova in Foucault, con qualche differenza rispetto a quella di Dolci che è interessante approfondire. Per Foucault il potere non esiste al di fuori delle relazioni, ed ha sempre un carattere fluido. C’è potere quando qualcuno fa fare all’altro ciò che desidera. L’accento qui non è sull’accesso alle risorse, ma sul direzione del comportamento altrui (evidentemente al servizio di un bisogno proprio, essenziale o meno). Tutte le relazioni di potere per Foucault hanno un margine di libertà e possono essere rovesciate. Chi subisce il potere può ribellarsi , resistere o, al limite, suicidarsi. Vi sono però situazioni in cui questo margine si libertà è ridotto al minimo. Quando una relazione non è più fluida, ma fissa, non si può parlare più di potere. C’è dominio quando “le relazioni di potere sono fissate in modo da essere perpetuamente asimmetriche e da limitare estremamente i margini di libertà” (1). La considerazione di questa fluidità sembra essere ciò che manca a Dolci. Non è chiaro in che modo si passi dal potere al dominio, dalla piena posivitità del primo all’assoluta negatività del secondo. In Foucault, d’altra parte, manca l’idea di un potere che non tenda all’asimmetria, come se ogni relazione umana fosse caratterizzata dal tentativo di sottomettere l’altro.
Proviamo dunque a leggere Dolci alla luce di Foucault e Foucault alla luce di Dolci. Possiamo distinguere e chiarire terminologicamente come segue. Il potere è, come sostiene Dolci, la possibilità di fare, soddisfacendo i propri bisogni essenziali. Esso non ha un carattere negativo. Sono possibili relazioni umani simmetriche, nelle quali gli uni soddisfano i propri bisogni insieme agli altri. Quando invece la relazione tende all’asimmetria e si sbilancia a favore di uno dei soggetti, si ha qualcosa che non è più potere e non è ancora dominio. Possiamo chiamarla relazione di pre-dominio. Nel dimensione del predominio un soggetto cerca di assoggettare l’altro ai suoi bisogni, ma la situazione è ancora fluida, c’è la possibilità concreta di resistere e di rovesciarla. C’è infine il dominio, che è la fissazione normativa, socialmente riconosciuta ed accettata, di una situazione asimmetrica. Il fatto che tale situazione sia socialmente accettata o addirittura normata non vuol dire che sia eticamente giusta. Essa può anzi configurarsi come una vera e propria rapina. Tale è il dominio economico e politico di alcuni stati su altri, giustificato con “ragioni” che fanno pensare alla favola del lupo e dell’agnllo, e che tuttavia ottengono una tacita approvazione dell’opinione pubblica.
La zona intermedia del pre-dominio è quella propria della competizione, dell’escalation simmetrica. Potere e libertà, nota Foucault, vanno di pari passo. All’accusa di vedere il potere ovunque, obietta che ovunque vede anche la libertà (2). Ma in cosa consiste questa libertà? La libertà di uccidersi? Ed è desiderabile una società in cui la libertà si riduca a questo - ribellarsi, al limite con il suicidio? Il bellum ombia contra omnes sembra essere per Foucault preferibile al Leviatano, poiché la fluidità del primo è compatibile con la libertà, mentre la compattezza del secondo no. Ora, al di là del fatto che è difficile immaginare una situazione di dominio che annulli del tutto la libertà (soprattutto se con Foucault consideriamo anche il suicidio politico come un atto di libertà), ciò vuol dire considerare l’uomo condannato ad una dialettica senza fine di sottomissione e ribellione, di relazioni bloccate e di violenti rivolgimenti. Dolci aggiunge a questa prospettiva la figurazione di una terza possibilità, quella di una società pre-asimmetrica, di una dimensione pacifica nella quale il soddisfacimento dei bisogni non comporta competizione, e il tentativo di predominare è patologico. Questa possibilità - il potere, simpliciter - si presenta in Dolci come il livello zero, la condizione di base dei rapporti umani, la dimensione della sanità. Così non è, in un contesto economico e sociale caratterizzato dal capitalismo, vale a dire dalla competizione e dal pre-dominio, un sistema nel quale anche le relazioni naturalmete simmetriche e creative - come quella erotica - tendono alla competizione. Una società del potere, in tale contesto, non è probabilmente un dato che si possa semplicemente accertare (come Dolci tenta di fare), quanto piuttosto un progetto politico di cui occorre mostrare il carattere non utopistico. E poiché il dominio non è un mondo compatto che fronteggia il mondo intatto del potere, ma la fissazione, la cristallizzazione della realtà magmatica del pre-dominio, il progetto di una società nonviolenta non può partire che dall’analisi delle relazioni di pre-dominio e dalla considerazione della possibilità di portarle verso il potere.
(1) M. Foucault, L’etica della cura di sé come pratica della libertà, in Antologia. L’impazienza della libertà, tr. it., a cura di Vincenzo Sorrentino, Feltrinelli, Milano 2008, p. 245.
(2) Ibidem.