Thursday, 25 March 2010

anarchici e collaborazionisti

<< Il regime ci sarà quando sarà indispensabile iscriversi al Partito della Libertà per campare. Ora c'è un quasi-Regime, e il suo trasformarsi in Regime effettivo dipende dalle nostre scelte. Non voglio giudicare Alberto. Qui è in questione il tuo presunto anarchismo, non il suo lavoro. Io e te siamo dipendenti statali, e questo ci crea problemi, perché siamo anarchici. Ci giustifichiamo pensando che comunque ci sforziamo di fare qualcosa di buono per la collettività, e che il nostro essere dipendenti dello Stato non vuol dire essere al servizio del governo. Uno che lavora a progetto è  invece un collaboratore del governo, uno che fa cose che possono essere anche meritorie e mosse dalle migliori intenzioni, ma portano acqua al mulino del governo. Essendo questo un governo di bastardi fottuti mafiosi corrotti, penso che chi si dichiara anarchico dovrebbe astenersi dal partecipare a simili progetti, anche quando li trovasse interessanti e promossi da persione degne di stima.
Non credo nella costruzione di un'alternativa all'Italia berlusconiana attraverso progetti finanziati dal governo Berlusconi. Tu lo credi, così come prima credevi che nella necessitàdi appoggiare il Pd (di Franceschini!) per fare vera opposizione al governo. Mi pare che tu  abbia le idee molto confuse.>>

Io credo che tu stia confondendo almeno due piani diversi: quello dell'anarchismo e quello del rifiuto di collaborare con dei criminali.

Se un governo è criminale, non c'è bisogno di essere anarchici per rifiutare di collaborare, e per pretendere che le persone oneste, in quanto tali, rifiutino di farlo. Da questo punto di vista non è vero che tu non giudichi Alberto: quando dici "io rifiuto di collaborare con un governo di criminali" non stai esprimendo una semplice preferenza, come se dicessi "io amo bere rooibos" (e chiunque potrebbe risponderti "bleah, il rooibos!"), ma esprimi una posizione etica e politica, che in quanto tale è anche un giudizio, e che in quanto tale deve essere espressa e difesa, o contestata, con argomenti validi e coerenti: discutere di cosa è governo, e cosa è proprio di questo governo in quanto criminale, cosa è collaborazione, cosa non lo è, quali sono i limiti oltre i quali non è accettabile andare, che cosa è giusto e lecito fare, oppure non fare.
Rispetto a questa discussione è solo un falso tirarsi indietro o un artificio retorico (ripeto) dire "non è accettabile 'ma sono punti di vista', non sto esprimendo giudizi", né vale l'argomento del "si deve pur guadagnarsi da vivere": stiamo discutendo di cosa è giusto fare, non delle giustificazioni per chi eventualmente (io o te compresi, se questo è) non ha la possibilità o la forza di farlo.
Rispetto a questa discussione, inoltre, ha senso la distinzione che tu poni fra governo e stato, anche se andrebbe analizzata molto più a fondo, perché da un lato il governo, qualsiasi governo, è un'articolazione dello stato, ma dall'altro, e in questo hai ragione a distinguere, questo particolare governo, specificamente e proprio in quanto criminale (in quanto quasi-regime, come dici tu) è in aperta contrapposizione allo stato. E vi si contrappone proprio per sostituire al potere dello stato, che è potere strutturato e in una certa misura collettivo, il potere personale, il potere economico, l'arbitrio (l'altro giorno, d'altronde, Marco d'Eramo ricordava lo slogan di Ronald Reagan: «rendere lo stato così piccolo da poterlo gettare nel cesso»).
Da questo punto di vista riconosco una differenza fra collaborare con il governo, con questo governo, e lavorare alle dipendenze dello stato, ma la riconosco soltanto a partire dalla considerazione di ciò che questo governo ha di particolare, di criminale, di proprio di un regime - e qui il collaborazionismo, il favorire l'azione di smantellamento dello stato e la trasformazione del governo in regime, lo vedrei proprio nel buttare a mare un progetto iniziato da un altro governo, e che è in controtendenza rispetto all'autoritarismo e al controllo e repressione della rete verso cui  si muove questo regime, solo perché il governo è cambiato.

Rispetto all'anarchismo, invece, possiamo discutere, e anzi dovremmo farlo, di cosa intendiamo per anarchia. 
Io non ho in effetti alcun diritto di definirmi anarchica, nella misura in cui l'abbattimento o il rifiuto dello stato fa parte, suppongo, del programma minimo di ogni buon anarchico.
Invece, per quanto mi riguarda, lo stato è semplicemente una delle forme di organizzazione dell'agire collettivo, dunque del potere. Una forma particolarmente complessa e appariscente, ma non l'unica. Io non solo non credo possibile sottrarmi all'agire collettivo, ma anche non crederei giusto farlo se fosse possibile. Io credo che sia possibile, necessario e doveroso contestare questa particolare forma (o meglio questo particolare insieme di forme), e partecipare a elaborare e sperimentare delle alternative, non che sia possibile o giusto sottrarmi all'agire collettivo, o che l'agire collettivo possa darsi in assenza di forme e strutture.

Diciamo che credo che il potere, rimosso, ritorni.

Pertanto, per me non è un caso se, "volendo fare qualcosa di buono per la collettività", noi lavoriamo per lo stato. Io non sento il bisogno di giustificarmi per questo, anzi sono contenta di definirmi una public servant (è significativo che in italiano l'espressione non abbia corrispondenza): una che quello che fa nella vita è essere al servizio della collettività. Lo sono qui ed ora, in questa situazione qui, e con i vincoli e nelle forme determinate da questa situazione qui, sulla base delle regole proprie di questo particolare stato. Quindi sì, io collaboro attivamente e continuamente con lo stato, e non perché devo pur vivere e quindi ottenere una qualche forma di reddito anche se penso che "in quanto anarchica" dovrei agire diversamente, ma perché l'agire collettivo si dà solo come agire strutturato, e le strutture in cui posso agire sono queste. Poi, ne esistono certamente delle altre - il mercato, l'associazionismo, la cooperazione, altre che possiamo inventarci - anche se non è detto che siano meno affette dal morbo del dominio di quanto lo sia la forma "stato" che conosciamo: l'agire collettivo è un esercizio di potere, la capacità non semplicemente di fare (di agire singolarmente), ma di fare insieme, di agire in molti e in modo coordinato, implica il comando sull'agire altrui, perché agire insieme implica che io ti chiedo di fare certe cose, e tu lo chiedi a me.

Questo insieme di considerazioni - e so che le ho scritte in fretta e sono insieme confuse e troppo sintetiche - è grossomodo quello che intendevo quando, a te che mi rimproveravi l'appoggio a Franceschini (tecnicamente, alla Serracchiani che appoggiava Franceschini) e mi accusavi di "recitare" la parte dell'anarchica, risposi: è che non credo che per rifiutare il potere basti far finta che non esista, o di poterlo abbattere.

E' probabile che io non sia una brava anarchica, e magari sono persino una collaborazionista e mi merito di essere rapata a zero su una pubblica piazza. Ma per me la validità etica e politica dei miei atti si misura sulle conseguenze che posso prevedere nelle condizioni date.
Di queste condizioni fa parte anche un sistema elettorale che determina (ancora) chi sia a governare. E' un sistema elettorale che può non piacermi, anzi mi fa francamente schifo, e che è stato studiato esattamente per ridurre al minimo le mie e le nostre possibilità di opposizione. Ma è un sistema efficace: produce potere, produce il diritto a governare, e produce anche una rappresentazione collettiva per la quale noi stessi finiamo talvolta per credere che l'Italia sia berlusconismo, fascismo e leghismo.
In quanto è un sistema efficace, esso neutralizza la possibilità di sottrarvisi: io posso bene non partecipare, ma è l'insieme dei voti validi espressi alle condizioni date a legittimare, o privare di legittimazione, il regime. E all'interno di questo sistema efficace il fatto che l'alternativa al regime sia rappresentata da una nullità come il PD è un fatto rilevante e grave. Rilevante, grave, e probabilmente senza rimedio: ma se vi fossero o meno rimedi, questa era una cosa che per me andava esplorata.

2 comments:

  1. Va bene, giudico Alberto. Ma soprattutto giudico te. Perché Alberto nel progetto ci ha messo impegno e passione, e ci trae probabilmente di che campare: ed io stesso, al suo posto, soffrirei non poco dovendolo abbandonare. Anche se lo farei, comunque. Ma la tua partecipazione al progetto, il tuo propagandarlo, sono cose assolutamente libere. Hai scelto di appoggiare una iniziativa che appartiene a questo governo. Ed è per me una scelta sbagliata.
    Il punto di partenza del mio ragionamento è la considerazione della gravità della situazione nella quale ci troviamo. Che, ripeto, non è ancora di Regime: ma proprio per questo bisogna fare attenzione, e fare scelte che possono anche essere dolorose, ma sono necessarie. Non ci troviamo di fronte soltanto ad un governo che governa male. Ci troviamo di fronte ad un populismo mediatico che sta spazzando via quel po' di democrazia che restava in questo disgraziato parse. Di fronte ad un pericolo di questa portata le forme tradizionali del dissenso non sono sufficienti, né basta scendere in piazza. Occorre qualcosa di più. Occorre rigettare questo governo come un corpo estraneo: dissociarsi e non collaborare. Ogni volta che è possibile, in ogni contesto, a livello locale come a livello nazionale. Ed è forse ancora più importante farlo quando si tratta di iniziative che appaiono positive e meritorie, perché è anche così che si nutre il consenso. Come sai, il libro di Sara sul caporalato sarebbe dovuto uscire nella collana diretta da me. Ho rifiutato, ed ho ritirato la mia presentazione che era già in bozza, quando ho saputo che ci sarebbero state anche delle parole di presentazione di un assessore di centro-destra. Che un assessore collabori alle spese di pubblicazione di un libro sul caporalato sembra una cosa buona; non lo è, se serve a ricostruirsi una verginità, a mostrare le mani pulite, mentre sono sporche della più vile complicità con chi sfrutta a sangue i nostri immigrati. In questo momento, è dovere di chiunque abbia a cuore la democrazia, la libertà o anche uno straccio di morale pubblica, non collaborare con questo governo. Che il progetto sia in controtendenza rispetto al governo, che sia antiautoritario eccetera, conta poco. Un politico sa sempre cosa fa. Se finanzia o patrocina un progetto, è perché gli serve. E chi ci lavora, si sta facendo usare da lui.

    Due

    Cosa intendiamo per anarchia. Bella questione – e ci sarebbe da discutere per il resto delle nostre vite. Per come la vedo ora, l'anarchia è lotta al dominio (che tu, vedo, confondi con potere: ma devo credere che sia una identificazione consapevole, visto che ne abbiamo parlato; ed è una cosa che non mi spiego). Non necessariamente allo stato: perché lo stato non è che una delle forme del dominio, ed in questo frangente storico non è la peggiore. C'è il dominio economico, quello delle multinazionali, c'è il dominio mediatico, c'è il dominio ecclesiastico. Il governo attuale è una concentrazione di queste forme di dominio, e come dici si tratta di un dominio che entra in conflitto con lo stato stesso. L'anarchico potrà compiacersi del tentativo della magistratura di perseguire il politico, ma non si illuderà per un solo istante sul ruolo del magistrato, che è quello di esercitare una giustizia di classe.

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  2. Tre

    La classe, appunto. È quello che tralasci nella tua analisi dello stato. L'agire collettivo dello stato è un agire che fa gli interessi della classe borghese. Sei liberissima di credere che quella statale sia l'unica forma possibile di agire collettiva: ma non sei anarchica. Penso che dovresti prendere coscienza di questa cosa, e smetterla di raccontare frottole a te stessa ed agli altri, Anche considerando lo stato attuale di necessario ripensamento dell'anarchismo, è evidente che pensare che l'unica azione collettiva sia possibile all'interno dello stato vuol dire essere agli antipodi dell'anarchismo. Che è, appunto, il tentativo di creare forme di azione, di collaborazione, di comunicazione, di integrazione sociale dal basso. Hai una singolare concezione del «fare insieme», se pensi che non sia possibile senza «il comando». Questo è ciò che insegnano gli esperti del dominio. La gente, anche senza essere anarchica, riesce quotidianamente a fare cose insieme senza che uno debba comandare all'altro. Quello di cui parli è un mondo alla rovescia, nel quale ciò che è patologico – l'agire collettivamente attraverso comandi – diventa la normalità, e la normalità è denunciata impossibile. Se il mondo fosse solo questo, non esiterei a spararmi alla tempia. Perché non voglio vivere in un mondo in cui la socialità passa necessariamente attraverso il dominio.

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