Sunday, 17 October 2010

La schiavitù del lavoro salariato

C'era una volta un cattivone che sosteneva che la differenza fra un lavoratore schiavo e uno dipendente è in due cose: che lo schiavo ti tocca mantenerlo anche quando non hai bisogno di farlo lavorare, e che lo schiavo va costretto a lavorare con la frusta, per il lavoratore libero basta la fame.

Il cattivone, credo, oggi tuonerebbe, scoprendo che il movimento dei liberi lavoratori precari aspira al diritto per tutti di divenire dipendenti a vita - riconoscendo, nei fatti, che la condizione dello schiavo è preferibile a quella di chi è libero di morire di fame.

Il che è drammaticamente vero, perché oggi essere assunti nel cielo dei dipendenti a vita significa avere dei diritti che non tutti i lavoratori hanno. Il diritto alla sicurezza del reddito innanzitutto - a poter contare sul fatto che fra due anni avrai ancora un lavoro, anzi, lo avrai ancora persino fra dieci o vent'anni, se vorrai (ah, l'articolo 18!). Il diritto ad ammalarsi. Il diritto ad avere figli, e magari persino ad accudirli quando sono piccoli.

Ma allora quella contro cui lottare non è la precarietà del lavoro, ma la precarietà della vita.

Il diritto ad essere sicuri di avere un tetto e un reddito anche quando del tuo lavoro non c'è bisogno.

6 comments:

  1. Un'idea cannibale rende schiavi molti, come me, che si credono liberi.

    E' un'idea innaturale e barbara secondo la quale ogni diritto è secondo al profitto.

    E' una distorsione della realtà che ci fa percepire come immutabili e giuste le leggi di mercato e non quelle più sottili della storia, o quelle più nascoste, perchè scalpitano dentro di noi, della nostra natura.

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  2. Gio, vero, tutti ci crediamo liberi, quasi sempre a sproposito.

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  3. l'articolo 18 è morto; è stato aggirato con la legge Marzano che permette azioni di "espulsione" massiccia, con le cessioni di rami d'azienda, se ho ben capito.
    Io sono un pò massimalista riguardo alla politica italiana; credo che finchè non si risolverà il problema della corruzione sarà difficile affrontare i temi del profitto con buone leggi.
    in generale, io credo, bisognerebbe ripensare radicalmente al concetto stesso di lavoratore dipendente. fare in modo che non sia solo l'imprenditore ad unirsi ed evolvere nel tempo con l'azienda.
    basterà poi introdurre dei contrappesi alle leggi di mercato?
    saluti

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  4. C'è solo un problema. Spesso chi impiega il lavoro gestisce un'impresa che durerà qualche mese, qualche anno, un tempo non indeterminato. Come può dare sicurezza a vita? E chi la darà a lui?

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  5. berto ) Appunto: l'errore è legare la sicurezza al lavoro, mentre il lavoro non lo è, sicuro, e questo errore indebolisce i lavoratori, non i padroni (quelli veri, non i "padroncini": essere capitalisti è anche questione di scala).

    anonimo) (ma almeno un nickname no?!)
    1. l'articolo 18 era una fregatura;
    2. giusto, bisogna ripensare il concetto di lavoratore dipendente. Anche perché la crisi sta finendo di spazzare via i lavoratori dipendenti a vita come li conoscevamo e li pensavamo in Italia. Potremmo per esempio partire dal concetto di "dipendenza" - uno è tanto più dipendente quanto meno controllo ha sulla propria vita, il proprio destino, quanto più ridotte sono per lui le scelte possibili.
    3. "imprenditore", per Schumpeter, è colui che si assume il rischio d'impresa: tenta, produce qualcosa di nuovo, può anche fallire e perdere quello che aveva investito, e per questo, dice Schumpeter, ha diritto a un premio maggiore, perché in quello che fa non c'è solo il lavoro, ma anche l'assunzione del rischio. Chi è che si assume il rischio, dove i lavoratori sono flessibili (e anche dove non lo sono)?
    Ma proprio per questo, flessibilità vera, e innovazione, si potrebbero dare se il rischio per i lavoratori fosse coperto fuori dall'impresa - se non fosse il lavoro ma un diritto riconosciuto a tutti a garantirgli la vita, il cibo, la casa.

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  6. si, infatti va posta molta attenzione agli aspetti quantitativi e non solo qualitativi. Quanto rischia l'imprenditore e quanto il lavoratore ...
    i tedeschi (e non solo) usano dagli anni 70 la cogestione; è un modello, quello dualistico, non nuovissimo ma sempre con spunti interessanti e non rispetto al modello tradizionale.
    Certo, in un'epoca in cui la competizione è tale che perde di significato l'idea del posto fisso, la flessibilità "vera" è una strada. Regolamentata in modo che quello del lavoro sia un mercato competitivo, però.

    Angelo

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