Una di queste, con un verso che per noi significa molto, ora appartiene a un'amica. Un'altra è una piccola ciotola, dono a me di un'amica cara, che forse mi legge, e che è per me una delle poche (poche? quando faccio la conta mi stupisco sempre di quante siano!) cose a cui sono attaccata. Il mio pezzo di terra, lo chiamo, quasi che fosse questo:
lo potessimo avere anche noi un umano, puro, contenuto
una striscia nostra ristretta di terra feconda
fra fiume e roccia
(Rilke, elegie).
E mi domando se oggetti come questi, come il dente strappato a una carcassa di cane che, racconta una leggenda tibetana, per la devozione di una vecchietta divenne davvero una reliquia del Buddha, o il topo bianco d'avorio di Dora Markus, o l'albero, là sul pendio, da rivedere ogni giorno - se oggetti come questi non divengano davvero qualcosa che ci salva, qualcosa che per la sua bellezza, o magari soltanto solo in grazia del particolare sentimento che proiettiamo in esso, diventa effettivamente un pezzo della via, qualcosa che porta alla superficie la forza che abbiamo dentro, e ci consente di vederla e di coltivarla.
"come quando guardi il cielo trafitto dalle stelle, e chiudi gli occhi e ti ritrovi quelle luci dentro, alla superficie di te"
in questi giorni stavo rileggendo alcuni scritti del nostro Benjamin, proprio sul valore "aureale" delle cose, e sull'essere un sucedaneo dei ricordi, la porta della memoria, insomma il kitsch onirico, dai!
ReplyDeletebeh, il passo da oggetto a reliquia è breve, no?
ciao